venerdì 21 maggio 2010

IL GIROTONDO DELLA SOLITUDINE

"La solitudine si deve fuggire, si deve fuggire con i compagni si può riuscire, con i compagni si può riuscir…"
così recitava una filastrocca che, ad ogni ricreazione veniva fatta cantare ai bambini dalle insegnanti del mio collegio, non avevo ancora compiuto i 3 anni … Io, stavo in disparte, guardando i miei compagni che saltellavano in cerchio, tenendosi per mano, con dei sorrisi a 42 denti. Si muovevano in tondo cercavano di catturare, di tanto in tanto, in quella umana catena quelli che, come me, timidi e ammutoliti trovavano, quel momento di libertà vigilata, ancor più bello avendo la possibilità di scegliere di trascorrerlo da soli, in balia dei propri pensieri.
Io non ho mai avuto paura della solitudine, anzi l'ho cercata ed amata; l'ho vissuta come dipartita da questo tutto che ci trasmette il nulla; ho desiderato il suo occultato vuoto per riempirlo di tutta me stessa, dei ricordi dolci e amari, delle sensazioni rispolverate, delle certezze distrutte e poi ricostruite, delle gioie intense, dei dolori profondi.
Nella solitudine tutto si rinnova, si modifica, si trasforma…tutto può amplificarsi o ridursi ai minimi termini. La solitudine tutto può: così un dolore passato può diventare ancor più assassino oppure essere sfoltito della sua tridimensionalità e diventare senza peso; così la gioia di un momento può assorbire tanta luce da diventare luminosa fino a rasentare la felicità oppure essere privata della musicalità e diventando muta, perdere maestosità fino a divenire silenziosa pace.
Ma lei è una compagna ingannevole: silenzio tra i denti, risposte mancanti, amarla è aver già perso la partita, sentirne la pace è solo sentire più vicina la morte.

La solitudine è una compagna sleale.
L’abbraccio, provando ad amarla come se non mi avesse mai offesa. La stringo a me, biblicamente ne conosco la carne ed il respiro, fatti di me.
La solitudine è una compagna sleale.
Si immola insostituibile per ogni buionotte da contemplare e poi si perde in una fuga, spergiura il non ritorno al seguito di uno sguardo. Inerpicandosi su colline mentali, illusione di vette ancora vergini, si perde sulle labbra delle stelle.
La solitudine è una compagna sleale.
T’illude che la sorte migliore sia in un mondo che ha dissipato le sue sorti. Ti guarda in silenzio precipitare nelle ombre allungate di una nuova alba, mentre le macerie di una gioia costruiscono distese interminabili, incapaci di mettere a fuoco il punto finito dell’orizzonte lontano.
La solitudine è una compagna sleale.
E’ solo una bestia affamata di domani, mentre si sazia di ieri. Mentre divora l’oggi, mi rammenta di essere Idra dalle troppe teste, nove più qualcuna tanto il tempo mi avanza per contarle.
Mi guarda e mastica ore piene di gioia inghiottita dal silenzio e con la bocca ancora piena, incurante del galateo e del mio disgusto, biascica: “esci”… perché lei è compagna sleale, l’ho già detto, sa bene che se non mi lascio contaminare dalla vita, poi non saprei che farmene di lei. E’ il suo modo di trattenermi a sé, senza sentirne la prigionia. Gode mentre in ginocchio davanti a lei mi lecco le ferite.

Indosso il mio solito trench d’humor, infilo guanti di prosa e poesia per ripararmi dal gelo, porto con me un ombrello di pensieri che ho rubato a qualche filosofo, già da tempo sotterrato, per ripararmi dalla pioggia acida. Esco… esco di scena, sbattendo un’ultima porta.
"La solitudine si deve fuggire, si deve fuggire con i compagni si può riuscire, con i compagni si può riuscir…" i miei tacchi a spillo, inseguendo pozze di pioggia, cantano ritornelli inutili e inzaccherati... poi tutti giù per terra, o sotto non cambia molto.

Paola Tinchitella © tutti i diritti riservati

1 commento:

Anonimo ha detto...

Carissima signora Paola,

le voglio raccontare una storia vera, che la coinvolge. Parlo della presentazione di Apnea del 12 giugno 2010 alla biblioteca Galline Bianche, fatta assieme ad altre tre autrici. Appuntai pochissime cose su ciascuna delle presenti (Belloni, Piccone, Raggi e lei, Tinchitella): ma - ritrovati quei pochissimi appunti che cercavo lontani da dov'erano, non ho scritto nulla di "Apnea".. E ricordo il perché: non riuscii a capire molto di quello che lei disse. Non ricordo il motivo: 16 mesi sono tanti, per i miei 74 anni. Però, un pensiero lo ricordo, perché fu molto intenso: "l'apnea, per me, è qualcosa di sacro che ricorda le mie osservazioni subacquee nei mari della Sicilia, e mi riporta agli anni dai miei 14 (1951) ai miei ventisette (1964) e qualche altro dopo. Come fa questa scrittrice ad occuparsene, senza mare - a quanto pare? Che cosa è per lei?". Quel pensiero mi allontanò - in quella giornata - dal suo romanzo.

Ho continuato a frequentare la biblioteca "Galline Bianche", a mio avviso - e forse per i miei gusti - molto più dinamica, nell'organizzare incontri, di quella cui faccio riferimento (Villa Leopardi), ove però c'è un ottimo front office, e dove sono nel CIrcolo dei Lettori. Così ho seguito quasi tutti gli incontri di poesia, e in uno di essi, Giovanna Merli è riuscita, con la collaborazione di Luciana Raggi e di Cony Ray, a farmi leggere tre cosette mie, delle quali mi vergogno un po', se le accosto a quelle che ho sentite in questi pomeriggi. Nell'ultimo incontro, ho preso in prestito "Apnea" per leggerlo.

Non mi aspettavo il romanzo che ho letto, allora, quando lei lo ha presentato. Mi è piaciuto tantissimo, sopratutto per questo personaggio - Isabel - (che.opino sia un suo ritratto) e per tutte le proiezioni interiori dei sentimenti, che descrivono la vita e la persona di Isabel. A cominciare dalla terza, forse dalla seconda pagina, sono stato preso completamente da questa stupenda analisi interiore. E pian piano - ma solo verso i tre quarti del romanzo - ho compreso appieno il titolo: solo che non si tratta di apnea reale, ma di un'apnea di sentimenti, nascosti o mascherati dagli eventi e dalle circostanze, se ho capito bene.

Vorrei fare una recensione, da mettere sul sito di VIlla Leopardi (e ovviamente anche su quello di Galline Bianche), ma soltanto col suo permesso, e se potrò riaverlo in prestito. Perché mi servirà averlo sottomano. Ed è un libro che avrò sempre caro. Un libro che presenta moltissime cose alle quali ho sempre pensato. E che non ho mai avuto il coraggio di descrivere con parole mie. Una storia che mi piace molto, che mi è piaciuta mentre la leggevo e che continuerà a piacermi. Isabel è un personaggio bellissimo, che non si nasconde a nessuno e da nessuno. E il fatto che sia in Spagna, terra di cui ho visto solo quell'incanto di Barcelona, per pochi giorni, la rende ancora più interessante. Nel suo vagare qua e la ho rivisto i tratti di alcuni film di Almodovar.

Giovedì ascolterò con attenzione le sue poesie. E mi aspetto di trovarvi la ricchezza di immagini del romanzo. Ma - senza intrattenerla ancora perché sto esagerando - ho una domanda: "chi è Jasmine?" La dedica del libro è un piccolo capolavoro di per sé, e così il pensiero di Madre Teresa, a me molto cara.

Arrivederci a giovedì. E mi scuso del giudizio iniziale: ho voluto essere sincero del tutto, senza nasconderle nulla.


Lavinio Ricciardi